Nell’ottobre del 1941 mio padre, dipendente delle Ferrovie dello Stato, dal Mugello (Firenze) venne trasferito in una piccola stazione delle ferrovie sull’Appennino Tosco Emiliano in provincia di Parma: ROCCAMURATA; una piccola frazione del comune di Borgo Val di Taro.
In tutto oltre alla stazione, vicino al fiume Taro, c’erano sei case, due osterie con vendita di generi alimentari, un casello e due passaggi a livello che dovevano essere chiusi ad ogni passaggio di treno (circa 50 al giorno). Sulle pendici della valle, poche case di contadini, quasi tutti piccoli proprietari dei boschi e dei rari campi che riuscivano a coltivare dove la pendenza non ere eccessiva.
Non c’erano le strade che si vedono sulla cartina ad eccezione di quella che fiancheggiava la ferrovia, non asfaltata e piena di buche.
Sul fiume non c’era il ponte ma una teleferica manuale con un’unica cabina per due persone.
La scuola e la chiesa erano sui monti e distavano circa un chilometro dal fondo valle.
Avevo appena compiuto sei anni e la scuola mi aspettava lassù. Altri due bambini di sei anni abitavano vicino alla stazione: Carla e Renato.
Per i primi giorni ci accompagnarono a turno le mamme, poi, visto che l’unico pericolo poteva essere qualche lento carro trainato da buoi, ci lasciarono andare da soli.
Ad ogni piccolo fruscio che sentivamo nei cespugli ai lati della mulattiera pensavamo che dovesse sbucare un drago o più probabilmente una biscia. Vincendo però tutte le paure e inventando strane avventure con i massi, gli alberi e i ruscelli, siamo sempre riusciti ad arrivare puntuali a scuola e a ritornare sani e salvi a casa.
A fine anno scolastico tutti promossi e pronti ad affrontare la prima vacanza estiva.